GALLERIA  “ANDAR PER MULINI”

“Andar per Mulini” dello storico locale Romano Colombazzi, autore di diversi libri, e’ il primo argomento storico che presentiamo.
Commenti descrittivi accompagnano le immagini.

Questa piccola guida vi accompagnera’ alla scoperta dei tesori della Valle del Savena e cioe’ i Mulini o Molini, se alle parole di origine greca preferite quelle latine, anche se un linguaggio piu’ tecnico imporrebbe l’utilizzo del termine ” Opifici”.
Molti di essi oggi sono nascosti dalla vegetazione, piegati dalle intemperie e dall’abbandono.
Altri sono stati ristrutturati ed hanno perso il fascino di un tempo, le macine e la loro funzione naturale.
Molti altri invece hanno resistito all’incedere degli anni, grazie alla qualita’ con la quale furono realizzati e all’affetto dei proprietari che li hanno amorevolmente ripristinati, ed oggi sono una splendida testimonianza della civilta’ contadina che con coraggio, ingegno e tanto impegno ha costruito le basi della nostra societa’.
Mi sono sempre posto una domanda: si dice Molino o Mulino ?
Dalle fonti storiche Molino deriva dal latino “molinium”, cioe’ molere = macinare, mentre Mulino e’ di origine greca ed indica il fabbricato oppure meglio l’ Opificio che contiene il Molino.
Qualche burlone ha scritto che deriva da Mulo perche’ il mulo dopo lo schiavo azionava le mole per macinare.
Oggi si possono dire entrambi i nomi.
Mugnaio, per esempio, deriva sempre dal latino “Molinarium” (Colui che macina con la mola) poi e’ diventato “Molnarium” ed infine “Mugnaio”: in tedesco si dice Muller ed in inglese Miller sempre da Molere.
In quale epoca compare il Molino ?
Dal trattato “DE ARCHITETTURA” (Sull’Architettura) di Marco Vitruvio Pollone (80 – 23 a.c.), storico romano nel regno di Augusto Imperatore del 15 a.c. al Capitolo 10° intitolato “Meccanica – Di un altro timpano e dei mulini ad acqua”, si legge: “Nella stessa maniera girano i molini ad acqua, i quali sono in tutto simili, eccetto che tengono in un capo dell’asse una ruota dentata attaccatavi, e questa posta a coltello gira egualmente con l’asse.
Accanto a questa evvene un’altra minore parimenti dentata, ma orizzonatale e col suo asse, sulla punta del quale e’ la spranga di ferro a code di rondine che regge la macina.
Cosi’ i denti di quella ruota che e’ attorno all’asse spingendo i denti della ruota orizzontale, fa girare la macina, sopra la quale stando appesa la tramoggia somministra alle macine il frumento e cosi’ si cava la farina.”

Non e’ azzardato affermare che, dopo la ruota, il molino e’ tra le piu’ grandi invenzioni dell’uomo.
Nel V° secolo a.c. compare il progenitore del molino; consisteva in un grande sasso al centro con sopra una specie di grande mattarello fatto a ruota, che girava in cerchio sulla stessa pietra, macinando e riducendo in farina ogni cosa.
Era nato uno straordinario attrezzo: la mola.
Il prototipo aveva due grandi potenzialita’: la prima era che piazzando un palo in orizzonatale con una estremita’ fissa nella mola e all’altra estremita’ una forza motrice a spinta muscolare, il lavoro era molto semplificato.
Essendo un banale moto rotatorio si potevano impiegare oltre agli uomini anche gli animali tipo asini che dovevano semplicemente girare in cerchio attorno al basamento della mola.
Cio’ permetteva una grande produzione rispetto allo schiacciare il grano tra due pietre a mano e poi, i mugnai, avendo a disposizione molta farina, divennero anche fornai.
Mola e forni di epoca romana sono visibili ancora oggi a Pompei.

 

Ma ritorniamo alla Valle del Savena e al genio bolognese nello sfruttare l’acqual per i mulini.
Il medioevo e’ stato il vero palcoscenico della comparsa della ruota idraulica moderna.
Il Sàvena (Sèvna in dialetto bolognese) e’ un corso d’acqua a carattere torrentizio (bacino idrografico di 170 km2) che nasce nel territorio di Firenzuola, in provincia di Firenze, da un anfiteatro di monti (Sasso di Castro a 1.276 m s.l.m., Monte Bastione a 1.190 m s.l.m., Monte Luario a 1.140 m s.l.m., Monte Freddi a 1.275 m s.l.m.) poco a nord del Passo della Futa; e’ il maggior affluente dell’Idige (al quale reca almeno i 2/3 della portata, specie nella stagione estiva) che confluisce poi nel fiume Reno.
Non si sa quanto i nostri antenati bolognesi conoscessero di questo torrente, ma ebbero un’idea geniale.
Il Reno ed il Savena delimitano il territorio della citta’ di Bologna rispettivamente a ovest e ad est. (Vedi planimetria a lato).

L’anno 1.176 rappresento’ una svolta nella storia di Bologna.
Nel maggio di quell’anno si era svolta la battaglia di Legnano contro Federico Barbarossa con la vittoria della Lega Lombarda, cui aderiva Bologna; rassicurati dalla sconfitta dell’imperatore, i bolognesi decisero sia la costruzione della seconda cerchia detta “dei Torresotti” o “dei mille”, sia la canalizzazione delle acque del Savena verso Bologna.
Con la crescita demografica della citta’ cresceva il numero delle bocche da sfamare: occorreva piu’ frumento per produrre piu’ pane, e dunque c’era bisogno dell’energia prodotta dalle acque per muovere le macine dei mulini da grano.
Nell’arco di pochi decenni Bologna si procuro’ una grande quantita’ di acque canalizzando prima quelle del Savena (chiusa di S. Ruffillo), poi quelle del Reno (chiusa di Casalecchio).
In poco piu’ di un secolo le scarse acque del canale di Savena alimentarono circa 30 mulini da grano.
Dalla chiusa iniziava ed ancora inizia il canale di Savena che, prima di entrare in citta’ a Porta Castiglione, azionava quattro mulini (Foscherari, Parisio, Frino e Castiglione o della Misericordia, attivato nel 1.286 e ancora attivo nel dopoguerra) e forniva acqua per irrigazione e riempimento dei maceri.
Dopo aver attravaersato via Toscana e Via Murri, il canale attraversa i Giardini Margherita (1.875) e ne alimenta il laghetto ed esce all’altezza della chiesa di S. Maria della Misericordia (all’inizio del secolo scorso, il tratto antistante la chiesa era dotato di lavatoi pubblici).
Entrato in citta’ il canale si biforca tra Via Castiglione e Via Orfeo: un ramo prosegue per Via Castiglione e l’altro (detto Fiaccacollo per la pendenza) per Via Rialto.
DSa questo ramo partivano altre due ramificazioni: una raggiungeva gli Orti della Viola (in riferimento alla Palazzina della Viola costruita da Annibale Bentivoglio alla fine del XV secolo) e usciva dalla cinta muraria a Porta Mascarella:
L’altra diramazione formava il fossato della 2° cinta muraria lungo le attuali Via Guerrazzi, Piazza Aldrovandi (seliciada di Strada Maggiore), Via Giuseppe Petroni (detta dei Pelacani, per la concia delle pelli, comprese quelle di cani e gatti), largo Respighi e Via Moline, per entrare poi nell’Aposa.
Un sistema di canali perfetti, ancora oggi esistente ma quasi completamento interrato e poco visibile per i turisti.
Per riscoprire i mulini della Valle del Savena, si possono leggere due libri; il 1° e’ quello curato da Adriano Simoncini dell’anno 2000 edito dal Comune di Pianoro, Centro Storico Documentale “La Loggia della Fornace”, dal titolo “I mulini della valle del Savena” ed il 2° quello di Domenico Benni e Gilmo Vianello dal titolo “Il torrente Savena, la sua valle, i suoi mulini” del 2001 edito dalla rivista Setta Savena Sambro.
Come scrive Adriano Simoncini in un articolo dal titolo “I Mulini della valle del Savena” pubblicato sul giornale ” Il Punto” n. 4 dell’anno 2000:

“Gli antichi mulini ad acqua, appartati nelle forre e nelle anse di rii e fossi, sono ancora pieni di fascino, se appena conservano un qualcosa delle secolari strutture.
La botte, le macine, i catinai.
Anche chi non li ha mai visti all’opera contempla con l’istintiva emozione che suscitano le testimonianze dell’inesorabile trascorrere del tempo.
Perchè ancora fino a meta’ degli anni ’50 la vita contadina ferveva intorno ai mulini, numerosi su ogni torrente montano.
Fra le due guerre, solo nella Valle del Savena funzionavano 36 mulini ad acqua: dal Mulino di Ca’ di Mengoni, il piu’ alto (m. 909 s.l.m) al Mulino del Paleotto.
Nel numero sono compresi anche quelli che macinavano lungo gli affluenti, come il Mulino del Comune, sul Rio del Piattello, famoso un tempo perche’ il diavolo, vestito di un lungo mantello per nascondere i piedi tondi di bestia, vi ballo’ con la mugnaia: scoperto per lo zoccolo e le zampe pelose, fuggi’ in fiamme da una finestra che mai fu piu’ possibile richiudere.
E’ un fatto fra i tanti che accadevano nei mulini, frequentatissimi da spiriti e anime in pena, oltre ovviamente dai contadini coi sacchi di grano o di castagne da macinare.
Tutto o quasi scomparso tranne che nel ricordo.”

Molti purtroppo non ci sono piu’, ma i tanti che restano meritano di essere visti, risalendo il corso del torrente che lambisce la periferia sud di Bologna.
E, partendo da Bologna, ho ricostruito l’elenco dei Mulini esistiti ed esistenti lungo la Valle del Savena.

ELENCO DEI MULINI DEL SAVENA: TOTALE 42

COMUNE DI BOLOGNA

  • 1. Del Gomito 40 m. s.l.m. (Secolo XVII o precedenti – 1958)
  • 2. Castiglione o della Misericordia (1286 – 1948)
  • 3. Di Frino (Secolo XVII – 1964)
  • 4. Parisio (Secolo XVII – 1979)
  • 5. Foscherari (Secolo XVII – 1908)

COMUNE DI PIANORO

  • 6°. Del Paleotto
  • 7°. Del Pero
  • 8°. Di Sesto
  • 9°. Gadignani (Fine dell’ 800 – 1950)
  • 10°. Pian di Macina (Prima del 1797 -1980)
  • 11°. Del Fiffo (Prima del 1788 – 1950)
  • 12°. Molino Nuovo (Prima del 1782 – 1909)
  • 13°. S. Ansano (Prima del 1681 – 1903)

COMUNE DI LOIANO

  • 14°. Scascoli (Prima del 1681 – 1958)
  • 15°. Nuovo di Bibulano (Prima del 1681 – 1950)
  • 16°. Di Carlino (1812 – 1960)
  • 17°. Della Volpe (Roncastaldo) (Prima del 1797 – 1960)
  • 18°. Di Mingoni (Roncastaldo) (Prima del 1884 – 1955)

COMUNE DI MONZUNO

  • 19°. Del Pero (1860 – 1970)
  • 20°. Dell’Allocco (1874 su struttura del’ 500 – 1982)
  • 21°. Della Grillara (XVI Secolo, il piu’ antico – 1986)
  • 22°. Di Donino (Prima del 1797 – 1960)

COMUNE SAN BENEDETTO VAL DI SAMBRO

  • 23°. Mengoni (Prima del 1884 – 1952)
  • 24°. Dei Frati (Prima del 1797 – 1920)
  • 25°. Della Valle (1500-altro 1827 -1960
  • 26°. Di Marchino (Non definita – 1951)
  • 27°. Case Mengoni – 909 m. s.l.m. (1669 – 1980)
  • 28°. Di Santino (1862 – 1951)
  • 29°. Di Sopra (1797 – 1947)
  • 30°. Filipponi (Alle falde del Monte bastione e’ il 1° Mulino del Savena)

COMUNE MONGHIDORO

  • 31°. Dello Spirito (1797 – 1961)
  • 32°. Del Piattello (1441 – 1955)
  • 33°. Di Pirotto (1880 – 2001)
  • 34°. Morandi (Prima del 1797 – 1960)
  • 35°. Mazzone (Prima del 1785 – Funzionante)
  • 36°. Del Comune (Prima del 1785 – 1953)
  • 37°. Di Ca’ Guglielmo di sotto I° (1821 – 1960)
  • 38°. Di Ca’ Guglielmo di sotto II° (non rilevata – 1960)
  • 39°. Di Ca’ Guglielmo di sotto III° (non rilevata – 1960)
  • 40°. Di Ca’ Guglielmo di sopra (860 m. s.l.m) (1774 – 1953)
  • 41°. Di Mandrullo (1859 – 1960)
  • 42°. Del Cancelliere (1997 – 2001)

Un possibile punto di partenza per ammirare il primo mulino ancora esistente puo’ essere fissato a Mulino Parisio.
Tuttavia fra quei mulini del Medioevo non vi era il Mulino Parisio, del quale si ha notizia solo a partire dal Seicento.
Era un mulino che funzionava in virtu’ delle acque del canale Savena che scorreva a quattro metri di profondita’.
Nel XIX secolo ha funzionato anche come mulino di riso.
Di propieta’ della famiglia Rosa, passo’ alla famiglia Bandiera dopo l’inizio del ‘900 per poi essere acquisito da Miglioli nel 1943 che macino’ grano fino al 1979 anno in cui cedette il complesso alla signora Maria Enza Gambetti, l’ultima proprietaria, che chiuse l’attivita’ del Mulino Parisio nel non lontano 1983.
Nell’immobile si insedio’ la banca.
E la ciminiera ?
Sappiamo che a fine ‘800 il mulino era dotato di due turbine e due macine ed era alimentato da macchine a vapore: cio’ spiega la costruzione della ciminiera che, quindi, e’ poco piu’ che centenaria, simile a quella della ditta Calzoni che svettava in Via Boldrini.
L’ 11 giugno 2012, dopo oltre un secolo, la ciminiera e’ stata tagliata: ora, passando davanti all’ex Mulino, piu’ che la farina ci verra’ in mente il terremoto.
Tuttavia, nella toponomastica del cuore, quella scritta se non dall’esperienza dei cittadini, quella localita’ rimarra’ sempre il Mulino Parisio.

Risalendo Via Toscana, che poi diventa la Statale della Futa, incontriamo in ordine i Mulini:

Del Paleotto (1142 – 1952)




Del Pero (1797 – 1953)




Di Sesto (1784 – 1897)




Gadignani (Fine dell’800 – 1897)




Pian di Macina (Prima del 1797 – 1980)




Pian di Macina – al giorno d’oggi




Del Fiffo (Prima del 1788 – 1950)




Mulino Nuovo (Prima del 1782 – 1909)

S. Ansano (Prima del 1681 – 1903)

Il Mulino è oggi un rudere visibile solo dalla strada, costruito prima del 1681, era un ampio complesso piu’ volte ingrandito.
Un canale di quasi mezzo kilometro di cui si vede ancora il muro della presa sulla destra della Via Fondovalle Savena, era provvisto di tre trombe enormi, le più grandi di tutti i mulini della valle.
Tre macine con relative ruote idrauliche a catini.
Nella macina centrale si leggeva: ” Li fratelli bolognesi fecero fare l’anno 1847 “.
Nel 1788 il propietario era il Marchese Alessandro Lanzoni Paleotti ed il mugnaio era Agostino Piana.
Risulta attivo nel 1903 con proprietaria Bacialli Maria Ved. Piana.

Mulino di Scascoli (Prima del 1681 – 1958)

Completamente distrutto, era imponente ed aveva anche una cappella dedicata a S. Maria Maddalena e nella sua botte si convogliavano sia le acque del Savena che del Rio Querze’.
Era collegato alla sponda sinistra del Savena con un suggestivo ponte sospeso a funi di acciaio, realizzato nel 1914, ora distrutto.
Aveva quattro macine: grano, frumentone e castagne, fave, ghiande, ceci, orzo.
Casali Antonio fu Gaetano 1897 e Menetti Emilio 1909.

Mulino Nuovo di Bibulano (Prima del 1681 – 1950)

Il mulino e’ oggi un ristorante.
Costruito prima del 1681, aveva tre macine: grano / frumentone / biade, castagne.
Lungo il canale una botte oggi vi e’ un laghetto e la botte e’ stata trasformata in un giardino dove le macine sono sistemate a mo’ di tavolini.
Franchi Athos e poi Eredi Monti i proprietari.
Cessazione attivita’ nel 1965 circa Monti Alberto.
Si arriva al bivio Loiano-Monzuno dove la Fondovalle prende il nome di Via dei Mulini.

Mulino del Pero (1860 – 1970)

In sinistra Savena, ora sede del Golf Club, aveva tre macine, nel 1929 fu installata una turbina ed ingranaggi metallici e produceva corrente elettrica a 12 volts.
Marchignoli Luigi, Marchignoli Raffaele nel 1904, Famiglia Filippini attuali proprietari del Mulino e del Golf.

Mulino di Carlino (1812 – 1960)

Proseguendo sulla strada di Fondovalle Savena, dopo l’incrocio che porta a Loiano e a Monzuno, a destra Savena c’e’ subito il Mulino di Carlino (1812-1960) dove esiste traccia del canale con sfioratoio, tra macine, di proprieta’ prima di Bartolini Carlo nel 1902, poi Bartolini Natalina.

Mulino della Volpe (Prima del 1797 – 1960)
e Mulino di Mingano (Prima del 1884 – 1955)

Vi sono poi a destra Savena lungo il Rio Lognola ed il Rio della Villa o Dei Costoni o Del Borgo, due mulini:
Mulino Della Volpe (Prima del 1797 – 1960) e Mulino di Mingano (Prima del 1884 – 1955) che servivano il Borgo di Roncastaldo.
Il primo aveva tre macine in fila con una botte a tre trombe, di proprieta’ del Marchese Gaetano Conti nel 1785, poi Bruzzi Auxilio, Francia Enrico nel 1897 e Menetti Antonio ultimo proprietario.

Nel secondo esistono ancora due palmenti con relative ruote orizzontali a catini, di proprieta’ nel 1925 di Bugane’ Augusto, poi Morandi Fortunato dal 1933 al 1946, quindi Benni Augusto sino al 1953 e di nuovo un Bugane’ fino al 1965.
Sempre piu’ in alto ma nel Comune di Monghidoro c’e’ il Mulino Dello Spirito (1797 – 1961) sempre pero’ sul Rio Lognola e Rio Vasellara.
Adesso e’ diroccato.
Aveva due macine su piani diversi a macinava grano, frumento e biada per 50 famiglie.
Di proprieta’ di Prosperi Gaetano detto “Spirito” giustiziato a Bologna il 15-12-1863, poi Nanetti Elia, Marchetti Ludovico nel 1900, Bolognini Gustavo dal 1924 al 1961, Panzacchi attuali proprietari.

Mulino dell’Allocco

Si arriva cosi’ al Mulino dell’Allocco ancora oggi visitabile e posto sotto il Comune di Monzuno essendo a destra Savena; collegato con la sinistra Savena da una passerella chiamata “Scalone”, fu ricostruito nel 1874 su strutture del 1500 e chiuso nel 1982 per scarsita’ di lavoro da Dozza Guido, ultimo e paziente cicerone per i tanti visitatori che bussavano alla sua porta.
Imponente costruzione con porticato a piano terra sorretto da ampi archi a tutto sesto.
Negli ultimi anni e’ stato oggetto di un profondo restauro da parte degli attuali proprietari.
Provvisto di una ampia botte con tre trombe, ha un ampio tunnel al piano sotterraneo per l’accesso alla “catinaia” con tre macine e palmento sorretto da colonne in noce e nottola a forma di animale.
Fu la famiglia Nanni a ricostruirlo nel 1874 nel 1874 che gia’ nel 1782 risultavano proprietari del luogo con Nanni Mariano di Gregorio, poi i Nannetti succedono ai Nanni, poi Dozza Giuseppe fu Luigi nel 1908 a Dozza Guido dal 1932.

Mulino detto Della Grillara

Dopo una breve sosta si incontra un altro Mulino detto Della Grillara ancora visitabile all’esterno e sempre sotto il Comune di Monzuno che risulterebbe essere tra i piu’ antichi della valle riportando su una architrave ka data 1599 e che ha cessato l’attivita’ nel 1966 cioe’ l’anno delle alluvioni eccezionali.
Provvisto di un lungo canale, aveva due macine e due docce con un tappo che si chiudeva dall’interno con una lunga pertica.
Nel 1782 risultava di proprieta’ di FranciaGiuseppe di Benedetto, poi della famiglia Dozza attuali proprietari.

Mulino Donino (Comune di Monzuno)

Anche il Mulino Donino (Comune di Monzuno) e’ visitabile dall’esterno con visibile il canale.
Era composto da quattro fabbricati degradanti verso il torrente ed ognuno ospitava una macina.
Nel 1938 gia’ funzionavano solo due macine.
Di proprieta’ della famiglia Francia dal 1977, e’ ancora di loro proprieta’ ed ha smesso di funzionare nel 1960 circa.

Mulino Mengoni

Poi nel Comune di S. Benedetto vi sono Il Mulino Mengoni a due macine alimentato dalle acque del Mulino dei Frati che altro non erano che i monaci Olivetani che a Monghidoro gestivano anche un Ospitale.

Mulino della Valle
e Molino Mandrullo

Si giunge poi al Mulino della Valle risalente al ‘500 e ne fu costruito un latro nel 1827 piu’ vicino al corso del torrenete essendo il primo semitravolto da una frana e che ha cessato di lavorare nel 1960 circa.
Oggi e’ ancora visibile l’ampia botte con tre trombe.
Dal 1858 di proprietaa’ della famiglia Benni con Luigi che nel 1858 firmo’ una protesta contro la costruzione del Mulino del Mandrullo piu’ a monte, Carlo, Alfonso, Luigi e Carlo ed infine Melchiade, famoso sopratutto come originale violinista ed espositore di notizie sui mulini



Mulino di Pirotto

Piu’ a monte, a 606 m s.l.m. sempre sul Rio del Piattello, si trova il Mulino di Pirotto a 5 macine ed il Mulino Morandi a 3 macine.

Mulino Mazzone

Proseguendo si arriva al Mulino Mazzone a 654 m s.l.m. meta del nostro viaggio, sempre sul Rio Piattello, costruito prima del 1785, con ampio portico antistante il Mulino, abitazione, stalla, con canale a sbarramento in sassi munito di sfioratoio e paratoia chiamata localmente “fiaccacollo” e di un altro canale del Rio Costazza.
A valle esiste un altro Mulino chiamato “Mulinin” con una macina per le biade.
L’impianto e’ provvisto di 5 macine con fuso a 12 catini; la prima serve per il frumentone, la seconda francese per il grano, la terza per le castagne e cosi’ via.
Proprietari nel 1785 i Lorenzini, poi i Fabbri, poi Gallo Antonio ed oggi della Famiglia Sazzini di Piamaggio.
E’ uno dei mulini meglio conservati di tutta la valle ed e’, grazie alla disponibilita’ dei proprietari, visitabile in tutte le sue parti.
Qui ancora negli anni ’60 lavorava l’ultimo mugnaio della valle del Savena: Antonio Galli.
Le sorelle Maria e Gabriella Sazzini, discendenti dell’ultimo proprietario del mulino e titolari del forno di Piamaggio, raccontano di questo Galli, loro parente, che sapeva far di tutto ed era abilissimo nel ricavare da un tronco di quercia i catini che facevano girare il rullo delle macine.
Raccontano come si sopravviveva in quel mondo arcaico fatto di baratti e strette di mano, usciti dal medioevo solo quando arrivarono gli americani a spruzzare tutti con il DDT.
Nel dopoguerra e fino al 1967 delle cinque macine esistenti ne funzionavano tre: una per macinare il mais da usare come mangime, una per le castagne che venivano trasformate in farina per polenta e castagnacci e una per il grano che veniva usato per fare la sfoglia anche se non era cosi’ bianca come quella di adesso: la crusca non si sbriciolava perfettamente e risultava come le farine integrali che troviasmo oggi in commercio.
Si macinava per tutti quelli che abitavano tra Castel dell’Alpi e Monghidoro perche’ prima della guerra voluta da Mussolini, non esisteva l’odierna strada provinciale e tutti erano obbligati a passare dal Mulino Mazzone.
Il nonno di Maria si chiamava Emilio Sazzini e dal 1910 al 1960 portava la farina a dorso di mulo ai suoi clienti sparsi per la valle: nelle bigonce trovava posto anche una bilancia piu’ piccola che serviva per pesare la “molenda” la quota di prodotto che veniva lasciata come pagamento per il mugnaio.
Quella parte di farina era il compenso del mugnaio che l’avrebbe poi trasformato tramite abili baratti, debiti e fatica, nel forno che i Sazzini inaugurarono nel 1968 a Piamaggio.



Mulino Ca’ Guglielmo di sotto

Ci sono poi salendo il Rio del Piattello il Mulino del Comune (1785-1953) della famiglia Milani e poi di Belgio Mario, il Mulino Ca’ Guglielmo di sotto III° (non rilevata – 1960),il Ca’ Guglielmo di sotto II° (non rilevata – 1960), Ca Guglielmo di sotto I° (1821 – 1960).

Mulino Ca’ Guglielmo di sopra



Ca Guglielmo di sopra (860 m s.l.m.) (1774 – 1953) della Famiglia Tedeschi e nipoti.

Mulino del Cancelliere

Proseguendo invece sul Savena nella frazione di Valgattara ci sono:
il Mulino di Mandrullo (1859 – 1960) acquistato dalla famiglia Naldi dalla famiglia Galli, fu costruito nel 1859 con due macine e utilizzava lo stesso canale del Mulino Del Cancelliere (1997 – 2001).
Il primo fu oggetto di una lunga vertenza Naldi – Galli (Angelo contro Domenico e Antonio) per la sua costruzione ad un centinaio di metri dal Mulino del Cancelliere di Proprieta’ di Naldi.
Il secondo era provvisto di 3 macine e fu convertito a turbina nel 1945; fu poi trasformato in un villaggio turistico.
A Castel dell’Alpi esisteva il Mulino di Marchino sul Rio degli Ordini a 696 m s.l.m. con due macine che ha cessato l’attivita’ nel 1951 ed e’ appartenuto alla famiglia Sazzinbi da prima del 1878, poi a Borelli Marco, ultimo proprietario.




Mulino Case Mengoni

Ancora piu’ sopra a 909 m s.l.m. c’era il Mulino Case Mengoni attivo dal 1669 fino al 1939 con due fabbricati ad 1 macina appartenuto alla famiglia Agostini


Mulino di Sopra

Sempre a Castel dell’Alpi sul Savena ma a quote minori esisteva il Mulino Sabtino (1862 – 1951) con botte a tre trombe ed appartenuto alla famiglia Santi; poi il Mulino di Sopra (1797 – 1947) a 710 m s.l.m. della famiglia Baldi ed il Mulino Filipponi, alle falde del Monte bastione e a 726 m s.l.m., e’ il primo mulino del Savena che fu spazzato via da una piena eccezzionale e di cui si e’ persa ogni traccia.

Ecco in sintesi la struttura dell’opificio.

Deviata tramite uno sbarramento sul torrente, l’acqua necessaria al funzionamento del mulino viene incanalata e raccolta in un invaso detto “botte”.
Lungo talvolta anche centinaia di metri, il canale e’ scavato nel terreno o ricavato con sponde in muratura e presenta pendenza limitata (1 – 2%) con conseguente scarsa velocita’ dell’acqua – circa un metro al secondo – tale da non erodere il terreno, ma, anzi, da consentire la sedimentazione del fango e della sabbia in sospensione.
La botte, delimitata da pareti in muratura o da argini in terra ed avente il fondo inclinato verso il mulino, costituisce una riserva d’acqua che consente, grazie al continuo apporto del canale, di mantenere costante il dislivello fra il pelo dell’acqua e la ruota idraulica e, quindi, una potenza di macinazione pure costante.
Spesso un lato della botte e’ costituito da un muro comunicante con il locale che ospita le ruote a catini – detto apunto “catinaia” – ed allora nel muro stesso si aprono cunicoli a volta, chiamati “trombe”, in numero uguale a quello delle macine, che si restringono dall’esterno verso l’interno terminando con una bocca in legno munita all’estremita’ di saracinesca.
Quando i mulini sono costruiti in posizioni molto scoscese e su piani diversi degradanti verso il torrente nella botte si apre un’unica tromba e l’acqua che passa fa girare una dopo l’altra le diverse macine poste in successione.
Tutti i mulini sono forniti di ruota idraulica orizzontale, che si adatta ad una portata d’acqua limitata.
Essa e’ costituita da un rullo di legnia di quercia rastremantesi verso l’alto, che porta al piede, riuniti a raggiera, una dozzina di “catini”, mentre nella parte superiore e’ innestata la sbarra di trasmissione e nell’estremita’ inferiore e’ fissato un perno in acciaio che, inserito nell’apposita sede ricavata in un parallelopipedo di bronzo, detto appunto “bronzina”, permette a tutto il complesso di ruotare con un minimo di attrito.
La bronzina e’ a sua volta incastrata in un parallelopipedo di quercia alloggiato in un incavo del basamento che regge tutto il motore idraulico ed e’ costituito da una trave detta “banchina” incernierata ad una estremita’ alla struttura dell’edificio e collegata al capo opposto ad un’asta di metallo che, attraverso un foro nel pavimento, raggiunge il locale macine.
La parte terminale e’ filettata e porta un grosso bullone che poggia su di una pietra fissa, cosicche’ avvitando o svitando si procura rispettivamente l’innalzamento o l’abbassamento della “banchina” e, con essa, del rullo e della sovrastante macina.
Infatti la sbarra di trasmissione infissa nel rullo di legno attraversa la macina inferiore, quella “fissa” o “dormiente”, tramite un foro centrale protetto da un cilindro di salice o di bosso fissato a mo’ di cuscinetto, e sporge per circa 10 cm portanto sull’estremita’ l’impostazione atta ad accogliere una piastra di ferro sagomata a farfalla, chiamata “merla”, che regge la macina superiore, o “girante”, dotata di apposito incavo per l’alloggiamento della “merla” stessa.
Il movimento rotatorio al motore idraulico viene impresso dall’acqua allorche’, aprendo dal locale macine tramite una leva la saracinesca della tromba, si libera il flusso in pressione che va ad urtare contro i catini.
Ovviamente il parallelismo fra le due superfici delle macine deve essere perfetto.
L’equilibratura si ottiene riportando il palo in esatta perpendicolarita’ col piano di macinazione della parte fissa, con l’ausilio di un’asta di legno detta “randa” lunga quanto il raggio della macina e munita all’estremita’ di una punta metallica.
Inserita al posto della merla, quando la ruota viene idraulica viene azionata manualmente la randa evidenzia l’eventuale difetto sfregando la macina per un certo tratto e restando sollevata nell’arco opposto.
Occorre ora agire sulla porta bronzina spostandolo lievemente tramite i cunei che lo fissano alla banchina.
Fra le operazioni di manutenzione riveste pure notevole importanza la “battitura” delle macine, che consente di ripristinare l’assetto ottimale delle superfici molitorie caratterizzate da scanalature a sezione triangolare e da sottili rigature aventi funzione di diminuire la superficie di attrito e favorire la circolazione dell’aria, impedendo il riscaldamento della farina.

I PROVERBI DEI MULINI

  • Chi va al mulino si infarina.
  • La farina del diavolo va in crusca.
  • Quando Dio ci da la farina, il diavolo ci toglie il sacco.
  • Il mulino di Dio macina piano ma sottile.
  • Ognuno vuol tirare l’acqua al suo mulino e lasciare a secco quello del vicino.
  • Il mulino della fame, quando ha l’acqua non ha grano.
  • Senza acqua il mulino non macina.
  • Tre cose valgono poco: un mulino che non va, un forno che non scalda e una madre che non sta in casa.
  • Bisogna macinare finche’ piove.
  • Acqua passata non macina piu’.
  • Il mulino senza grano macina se stesso.
  • Ogni mulino vuole la sua acqua.
  • Quando il mugnaio sogna, sogna grano e farina.
  • Ne’ alla messa, ne’ al mulino non aspettare il tuo vicino.
  • Bevi del buon vino e lascia andare l’acqua al mulino.
  • Ne’ mulo, ne’ mulino,ne’ fiume, ne’ forno,ne’ signore per vicino.
  • Figliuole d’osti e caval di mugnai, non te ne impicciar mai.
  • I mugnai sono gli ultimi a morir di fame.
  • Quando i mugnai gridano, corri alla tramoggia.
  • Chi fugge la mola, scansa la farina.
  • Chi ha la farina non ha il sacco, chi ha il sacco non ha la farina.
  • La neve di gennaio diventa sale, e quella d’aprile farina.
  • Le chiacchiere non fanno farina.
  • Tiranno, tumulto e farina, delle citta’ son la rovina.
  • Tutto il binaco non e’ farina